Lost Tapes Vol. 5B – Alfredo D’Ascoli e la Banda di Lecce

Livio Minafra

Basilio Giandonato, il mito

«Un’autentica rivelazione per la dolcezza del canto, la tecnica perfetta e l’emotività del suono». Così fu descritto l’allora ventitreenne Basilio Giandonato in un articolo apparso sulla prima pagina de Il Messaggero del 27 novembre 1947, in occasione di un concerto con la Banda di Porta Civitanova (Chieti). Giandonato nacque nella vicina Palombaro il 13 gennaio 1924 e i suoi primi studi del flicorno sopranino li mosse in questo piccolo paese arroccato ai piedi della Maiella. Nel 1946 la sua storia si intrecciò con Ruvo di Puglia. La sua fama, nonostante la giovane età, aveva già varcato i confini abruzzesi e il Maestro Alessandro Amenduni, impegnato a Ruvo di Puglia a rifondare la Banda (oltreché responsabile della omologa Scuola Comunale di Musica), lo volle scritturare come Flicorno Sopranino Solista, ruolo chiave per una banda, poiché storicamente il solista concertista interpreta il ruolo del soprano, ovvero per intenderci il personaggio che ha in Violetta la protagonista femminile de La Traviata, di Gilda nel Rigoletto di Verdi oppure Mimì in Bohème di Giacomo Puccini o ancora Norma nell’omonima opera di Bellini. Tra Amenduni e Giandonato nacque ben presto una forte amicizia, così il solista chiese spesso ad Amenduni lezioni di composizione, considerato che il maestro era diplomato al Conservatorio Santa Cecilia di Roma in Clarinetto e Composizione. Questo breve soggiorno avrebbe segnato Giandonato poiché dalla cittadina avrebbe in seguito trovato moglie e non solo. Intanto con una lettera del 3 luglio 1947 intestata a tal “Bosilico, suonatore di flicornino – Palombaro”, la rinomata Banda di Squinzano diretta dal grandissimo Gennaro Abbate, per interposta persona, provò a scritturarlo: «Sappiamo che attualmente siete con la bandetta di Ruvo di Puglia, ed avete pure idea di cambiare perché, naturalmente la banda non può darvi alcuna soddisfazione. Mentre la nostra, è superfluo dirlo, potrà lanciarvi dato che siete giovane ed avete bisogno di farvi un nome. Venite subito a Squinzano per trattare le condizioni che, ve lo assicuriamo, saranno di vostro gradimento». Forse il feeling non scattò, forse era troppo lontano. Squinzano era una grande Banda per via prima di Ernesto e poi Gennaro Abbate ma forse al giovane Giandonato non piacquero i modi? Chissà. E non lo persuase nemmeno l’inoltro di tale lettera da parte della madre, che l’aveva ricevuta in Abruzzo e gliel’aveva mandata in Puglia corredandola di un accorato appoggio scritto al fine di accettare. Giandonato infatti rifiutò e lasciò Ruvo per tornare in Abruzzo. Il 18 dicembre 1947 Amenduni, paternamente, scrisse all’ormai amico Basilio «Quanto allo studio del contrappunto, non mi domandare se sono disposto a guardare i tuoi lavori. Quando vuoi sono sempre disposto per te». Con una nuova lettera, il 12 Marzo 1948 Amenduni annunzia a Basilio: «Dopo una battaglia non indifferente, ò vinto. Farò una grande Banda davvero, il Gran Concerto Musicale Città di Ruvo di Puglia. Da Maggio usciamo per ritornare a Ruvo forse a fine Ottobre. E tu che fai? Se a Lanciano non ti trovi bene potrei ancora fare qualcosa per farti venire tra noi. In quanto al prezzo ti accontenteremo». Le difficoltà nel ridotare Ruvo di Puglia di una Banda sembravano definitivamente superate ma poi, in una successiva lettera del 5 settembre 1951, un mesto Amenduni gli annunciò «Da due anni siamo stati senza Banda. Malgrado la volontà di molti, non vedevo come farla. In arte è meglio astenersi che fare male». Un altro invito arrivò invece nel 1950 dal Nord Italia. La Banda di Venezia nella qualità del suo Direttore M° Alfredo Ceccherini, rivolgendosi al Sig. Zandonato così scrisse «…è vacante il posto di 1° Flicorno Sopranino (Solista). Lei comprende benissimo quale importanza ha la Banda di Venezia. Certo che gli stipendi non sono d’eccezione come lo sono per le Bande da giro. In compenso vi sono molti altri benefici che consolidano una posizione artistica, sociale e di stabilità». La Banda di Venezia fu infatti attiva fino al 1983 ed i suoi musicisti erano stipendiati direttamente dal Comune di Venezia. Ma per Giandonato restare prevalentemente in Abruzzo era la cosa più giusta da fare, fino al 1954 però, anno dei definitivi cambiamenti. Con ragionevole certezza si possono infatti così delineare le sue stagioni dal 1946 al 1954: 1946 e 1947 Ruvo di Puglia/Amenduni, fine 1947 Porta Civitanova/Bizzarri, 1948 Lanciano/Centofanti, 1949 Orsogna/Reino, 1950 Noci/Reino, 1951 Chieti/Centofanti, 1952 e 1953 non si sa, 1954 nuovamente a Lanciano con Lufrano e poi 1955 Lecce. Nel ’54 infatti Giandonato si sposò con la ragazza di Ruvo di Puglia che aveva precedentemente conosciuto e dopo un primo periodo a Palombaro si stabilì definitivamente a Ruvo; ma il ’54 fu anche l’anno del “ciclone” Alfredo D’Ascoli, già dal ’50 Direttore della gloriosa Banda di Lecce, che lo convinse a lasciare Lanciano e l’Abruzzo definitivamente. Scrive lo stesso D’Ascoli in una lettera a Giandonato del 4 dicembre 1954: «Comunque, in qualsiasi ragionamento tu continua a tenere la tua vera tesi, e cioè che sei hai lasciato Lanciano per Lecce non è stato per motivi economici ma per ragioni fondamentali, che incidevano sul tuo spirito, ad essi ben note». Fatto sta che dopo le importanti decisioni del ’54 per Giandonato si spalancò una fase di successi che avrebbero di lì a poco consolidato il suo mito in tutto il Sud Italia. A Lecce restò un anno, seguirono tre anni col M° Raffaele Miglietta a Corato 1956/1958, 1959 Carovigno ancora una volta con Antonio Reino, poi le otto mitiche stagioni con il Grandioso Concerto Musicale Città di Lecce “Tito Schipa” diretto dal M° Alfredo D’Ascoli  1960/1967, 1968 col M° Nino Misasi ad Acquaviva delle Fonti e infine 1969 col M° Pietro Marmino a Martina Franca.
Le Bande tra gli anni ’50 e ’60 erano ancora importantissime per la vita sociale e per le feste di paese. Come detto la Tv stava appena facendo la sua apparizione. Gli appassionati di Banda e di Opera Lirica erano tanti e quando solisti del calibro di Basilio arrivavano in paese erano accolti da star. Giandonato era soprannominato la Callas della Banda. In quegli anni fu attivissimo e richiestissimo. Poi, con l’avanzare dell’età, nel 1969, anche convinto da sua mamma e sua moglie, preferì ripiegare con l’insegnamento a Ruvo di Puglia, superando il relativo concorso e succedendo proprio ad Alessandro Amenduni che oramai aveva raggiunto la pensione. Nel 1968 si era difatti diplomato in Composizione e Strumentazione per Banda al Conservatorio Piccinni di Bari conseguendo i titoli necessari rispondenti ai requisiti del bando. Celebre l’aneddoto secondo cui l’allora Direttore Nino Rota, saputo che Giandonato si sarebbe recato a Bari per la prova finale, gli chiese di portar con sé la cornetta. Sembra che dopo il Diploma i due abbiano suonato l’intera Lucia di Donizetti con Rota al pianoforte a suonarne la riduzione pianistica.
Oggi a Ruvo di Puglia è ricordato come maestro di musica di due intere generazioni. Alcuni complessi bandistici locali suonano ancora sue marce ma il vero mito, il solista pregevole, sicuro, raffinato, ha rischiato di perdersi per sempre. Basilio Giandonato si spense improvvisamente a Roma nell’agosto del 1986 ma da oggi torna vivo il suo mito, per sempre.

Alfredo D’Ascoli e la Banda di Lecce

«Il più completo e perfetto Complesso Bandistico esistente. 70 sceltissimi esecutori. Solisti di chiara celebrità. Vastissimo repertorio di Musica Sinfonica e Lirica». Così recitava il depliant di presentazione del 1955 del Grandioso Concerto Musicale Città di Lecce. Racconta Giuseppe Pascali nel suo libro “La Banda di Lecce” (Capone Editore), che la banda era nata all’alba dell’800 e dopo più di un secolo si era sciolta alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Soltanto nel 1949, 34 anni dopo, l’allora sindaco di Lecce Nacucchi volle ripristinarla. La Direzione fu affidata al Maestro Emilio Silvestri, che tuttavia morì l’anno dopo. Allora si puntò al Maestro Alfredo D’Ascoli. Nato a Serino (Avellino) il 28 ottobre 1895, era stato ammesso nel 1907 in giovanissima età al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli (dove aveva avuto come compagno di studi anche Antonio Amenduni, fratello di Alessandro) diplomandosi in Strumentazione per Banda nel 1914. Nella sua vita lavorò in stretto contatto persino con Arturo Toscanini. Il suo arrivo a Lecce fu una rivoluzione. Riferisce Pascali che D’Ascoli, oltre a proporre il repertorio delle marce così come degli estratti d’Opera, «operò un riassetto nel repertorio, puntando principalmente su quello sinfonico, scegliendo pagine di alto valore e impegno musicale. Il maestro cominciò a proporre, e talora a concertare, una musica che all’epoca nessuno poteva immaginare di ascoltare da una banda da giro: Sherazade di Rimsky Korsakov, La Moldava di Smentana, di Respighi I Pini di Roma (di cui abbiamo un’incredibile registrazione datata fine anni ’50, n.d.a), Feste RomaneIl Reggente di Mercadante (anche presente nel cd, n.d.a.), la Messa da Requiem di Verdi (denominata  nella trascrizione di D’Ascoli La Grande Messa), il Lago dei Cigni di Čajkovskij oltre ad altri autori impegnativi come De Falla o Khachaturian (veniva eseguita la famosa Danza delle Spade). Probabilmente, molte riduzioni erano concertate anche da altri complessi bandistici (si pensi soprattutto all’opera degli Abbate a Squinzano) ma D’Ascoli era in grado di dare un personalissimo tocco all’opera, prendendosi della “libertà” musicali. All’intelligente scelta del repertorio si legò l’esigenza di procedere ad un’accurata selezione dei musicanti. Il maestro selezionò personalmente, e con una cura infallibile, solisti e singoli strumentisti» in un organico che in quegli anni, nella migliore tradizione dettata dalle teorie del Maestro Alessandro Vessella, si componeva di non meno di 70 elementi. Erano i tempi in cui i Comitati Feste Patronali e le Associazioni Musicali si occupavano dei concerti durante le varie celebrazioni e ricorrenze, e le Bande “facevano le stagioni”, ovvero partivano in tour dal giorno di Pasqua per poi fare ritorno talvolta anche a dicembre, girando in lungo e in largo per tutto il Sud, provvedendo persino al pagamento dei contributi previdenziali a tutti questi musicisti. Un lavoro a tutti gli effetti. Erano i tempi in cui uno sguardo diceva più di mille parole ed in cui i più giovani non vedevano l’ora di imparare dai più anziani. Erano i tempi in cui bastava la parola e una stretta di mano. Erano i tempi in cui non c’era la Tv e la Banda, prima della diffusione della Radio, era il mezzo di diffusione della musica imperante, ovvero la Lirica, il Melodramma. Erano i tempi in cui, tra Surbo e Lecce, una combinazione astrale aveva messo insieme un capobanda e una spalla come Nino Farì (1925-2015), un Direttore come D’Ascoli e solisti di pregio come tra gli altri Alberto Chiriacò (1924-2019) al Flicorno Tenore, anche chiamato Trombone Tenore, Romano Marra (1931) al Flicorno Baritono, spesso chiamato Bombardino, ma soprattutto Basilio Giandonato (1924-1986) al Flicorno Sopranino denominato semplicemente Flicornino. D’Ascoli diresse la Banda di Lecce fino al 1971 e ivi morì il 10 gennaio 1975. Farì ne fu primo clarinettista, responsabile logistico ed artistico dal 1957 al 1995. La Banda con D’Ascoli mutò il proprio nome in Grandioso Concerto Musicale Città di Lecce “Tito Schipa”. Oggi la Banda vede affiancato al nome Schipa proprio D’Ascoli e, coordinata da Enzo Blaco, è diretta dal M° Paolo Addesso mentre la maggior parte delle partiture dell’epoca sono custodite presso il Fondo “Nino Farì” a cura del M° Antonio Farì.

Gaetano “Nino” Farì

Nacque il 6 marzo 1925 a Surbo (Lecce) e dopo i primi studi di clarinetto al Conservatorio di Lecce, fu esaminato dal maestro Gennaro Abbate entrando a far parte, a soli 14 anni, del Gran Concerto Bandistico di Squinzano. Lo scoppio della guerra segnò un’interruzione delle attività artistiche, così che tra il 1940 e il 1944 Nino Farì si dedicò allo studio col maestro Abbate, prendendo lezioni di composizione e strumentazione, presso la sua abitazione a Squinzano e diventandone il pupillo. Alla fine del conflitto, nel luglio del 1944, gli venne offerto il ruolo di primo clarinetto solista nel concerto bandistico di Carovigno, appena costituitosi e diretto dal maestro Giuseppe Piantoni. Nelle stagioni 1945 e 1946 tornò nella banda di Squinzano come “spalla”; nel 1947 e nel 1948 è nella banda di Mesagne diretta dal maestro Gioacchino Ligonzo. Nel 1949 è a Noci col maestro Lippolis e finalmente, dal 1950 al 1956, di nuovo a Squinzano col maestro Abbate, questa volta come primo clarinetto solista, capobanda artistico e vicemaestro.
Nel 1957 (tre anni dopo la scomparsa di Abbate) inizia l’ultima e più ampia fase della sua carriera, quella che lo lega indissolubilmente al Gran Concerto Bandistico “Città di Lecce”, istituzione che ha il suo periodo più fulgido sotto la direzione del maestro Alfredo D’Ascoli (dal 1957 al 1971). Alla morte di questi, Nino Farì rimase l’unico organizzatore e responsabile artistico della Banda di Lecce, alla quale dà il nome proprio di D’Ascoli e del celeberrimo tenore leccese Tito Schipa. Sarà responsabile organizzativo e artistico del Concerto Bandistico “Schipa-D’Ascoli” Città di Lecce fino al 1995. Si spegne all’età di 90 anni il 3 dicembre 2015.
Nel cd lo apprezziamo ovunque in qualità di primo clarinetto e spalla.

Antonio Reino (testo a cura di Pierfrancesco Galati, Musicologo e Storico della Musica)

Nacque il 21 gennaio 1922 a Sant’ Eusanio del Sangro (Chieti). Si diplomò in clarinetto e composizione presso il Conservatorio “S. Cecilia” con Agostino Gabucci.
Dopo la partecipazione nella seconda guerra mondiale come ufficiale di aeronautica, nel 1947 iniziò la sua carriera di direttore di bande a Rodi Garganico, dove tra l’altro fondò e diresse una scuola musicale. Le sue capacità furono riconosciute da altre città che lo chiamarono a dirigere le rispettive bande musicali: S. Eusanio del Sangro, Orsogna, Noci, Loreto Aprutino, Vasto, Carovigno, Squinzano “Ferruccio Burco”, Martina Franca “Mondial”, Lecce, Squinzano “Ernesto e Gennaro Abbate”, ricevendo ovunque notevoli riconoscimenti, tra cui una medaglia d’oro nel 1953 con la banda di Noci “per mirabile strumentazione e perfetta esecuzione”. Ha trascritto numerose composizioni sinfoniche di Mussorgski, Borodin, Čajkovskij, Rimski- Korsakov, Mosolov, fino ad arrivare ai grandi Beethoven, Schubert e altri.
Tra le trascrizioni più importanti ricordiamo quella de I Pescatori di perle di George Bizet, di Wally di Alfredo Catalani, de La Traviata di Giuseppe Verdi. All’attività direttoriale, affiancò quella di docente di clarinetto presso il Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce.
La sua carriera fu interrotta dalla prematura scomparsa avvenuta a Lecce il 12 maggio 1978, anno in cui era direttore della banda “Abbate” di Squinzano.

Riflessioni sulla Banda

Corre l’obbligo fare una riflessione a doppio binario. Ascoltare oggi, per esempio la Banda di Lecce diretta da D’Ascoli tra gli anni ’50 e gli anni ‘60, non deve stupire per intensità, precisione ed intonazione. Squinzano, Acquaviva delle Fonti, Gioia del Colle, Lanciano ma anche le Bande siciliane avevano lo stesso rigore. Cosa è accaduto dunque, perché la Banda perdesse quella carica e credibilità artistica? E poi perché di Beniamino Gigli, di Mario Del Monaco, della Callas o dello stesso Tito Schipa abbiamo registrazioni e dei grandi solisti di Banda del passato quasi nulla? Cosa è accaduto? Erano forse figli d’un Dio minore? Basta ascoltare “Il Reggente” dell’altamurano Saverio Mercadante nella strumentazione di Alfredo D’Ascoli, o anche il frammento dei Pini di Villa Borghese di Respighi per ricredersi e fare ammenda in quanto a conoscenza della Banda, di cosa era e di come suonavano. Senza contare delle magnifiche Lucia e Norma. Se infatti la Banda non è stata mai da meno alle Orchestre, il senso di inferiorità purtroppo lo è stato. Nel tempo si è sacrificato persino il nome Banda in favore di Orchestra di Fiati ed oggi, persino gli organici tipici del Sud Italia di più di 100 anni, indicati da Alessandro Vessella, sono a rischio, a favore delle Symphonic Band. Perdipiù in Conservatorio i modelli trombettistici erano incarnati da fuoriclasse esteri come Maurice André. Eppure cosa aveva da meno un contemporaneo Giandonato come pure tanti altri eccellenti solisti di flicorno baritono, trombone tenore o flicorno soprano? Ignoranza o cecità? Ecco perché questo cd è nodale per il Sud, per la Banda, per la scuola flicornistica italiana e per la memoria storica di tutti.

Nota tecnica sui nastri recuperati

Norma fu registrata da Mimmo Fiore a Molfetta il 9 settembre 1976 su un apparecchio Telefunken. Lucia di Lammermoor è invece del 1966 poiché tutto il resto fu registrato tra il finire degli anni ‘50 e il 1966 da un appassionato la cui cassetta è stata dapprima posseduta dal maestro Nino Farì e in seguito conservata dalla famiglia Piccinno di Surbo. Le registrazioni rivelano esecuzioni smaglianti, brillanti e virtuosistiche, assolutamente non accelerate. Prova ne è, per esempio, il finale della Scena della Pazzia, col suo celebre Mi♭. Addirittura l’Aria Fra poco a me ricovero è persino in Re♭ e non Re, per favorire le tonalità coi bemolli (più comodi e sonori alle bande). I motivi – racconta Michele Di Puppo, clarinettista e capobanda della Banda di Lecce negli anni ’70 – sono che i maestri all’epoca si dividevano in due categorie. I prudenti ma precisi, con tempi comodi e attenzione alle timbriche, e gli spregiudicati, con tempi spettacolari e dirompenti. Tale è il caso del M° D’Ascoli.

Il Repertorio

Fantasia sulla Norma (Vincenzo Bellini, trascr. Gennaro Abbate)

Questa fantasia sulla Norma è la trascrizione più celebre dell’opera belliniana che gira nel repertorio delle bande da giro nel mondo della Bande. A firma del grande Gennaro Abbate, presenta i momenti più significativi dell’Opera. Come sottolinea il Galati, «le trascrizioni erano solitamente strumentate ed adattate dai vari Ernesto e Gennaro Abbate, Giuseppe Piantoni e tanti altri. Erano suite per quel pubblico che era desideroso di ascoltare l’aria del Flicornino, del Flicorno Tenore, il duetto tra Flicorno Tenore e Flicornino, etc.. prive tuttavia di una filologia teatrale, quindi trascritte liberamente dall’autore; da qui il termine fantasia)». Nella nostra registrazione la parte di soprano Norma è affidata a Basilio Giandonato, la Direzione al Maestro Antonio Reino. Ascolteremo il famosissimo cantabile Casta Diva, I figli uccido dal recitativo Dormono entrambi, il bellissimo Duetto Norma e Adalgisa detto anche Mira, o Norma, il coro Guerra, guerra! e la scena finale, il recitativo Deh non volerli vittime. Non sono inserite la cabaletta Ah! Bello a me ritorna e l’inizio di Dormono entrambiVittorio Bisanti il flicorno soprano che duetta con Giandonato.

Fantasia sulla Lucia di Lammermoor (Gaetano Donizetti, trascr. Alfredo D’Ascoli)

Il Prologo racchiude principalmente al suo interno estratti dall’Atto I col coro “Il tuo dubbio è ormai certezza” e dall’Atto II, in cui Enrico (il baritono) canta “Ma si taccia del passato…”, in banda interpretato da Romano Marra al flicorno baritono. La Fantasia salta poi al Finale, conosciuto per l’aria “Tombe degli avi miei”, in questo caso a partire da “Fra poco a me ricovero” con Edgardo protagonista, il tenore, analogamente intrepretato in banda dal trombone tenore Alberto Chiriacò. Segue la celebre Scena della Pazzia, Atto III, Scena V, ovvero il recitativo “Il dolce suono” unito alla prima parte dell’Aria, ovvero il cantabile “Ardon gl’incensi”, dove il Soprano Lucia racchiude passaggi di particolare difficoltà spesso intrecciati al flauto di Enzo Bisanti (poi per decenni primo flauto della Banda della Polizia). Nella banda il Soprano è rivestito dal Flicorno Sopranino, detto Flicornino, ed in questo caso tale ruolo era affidato alle abilità di Basilio Giandonato. Segue dunque il tempo di mezzo dell’Aria, Segnai quel foglio, è vero (interpretata da Marra e Giandonato) e infine la cabaletta Spargi d’amaro pianto con Giandonato protagonista. Penultimo momento della fantasia dascoliana Chi raffrena il mio furore, Atto II, Scena V, ovvero il Quartetto composto da Edgardo, Enrico, Lucia e Raimondo (il Basso, in banda era il secondo Flicorno Baritono) che vede in questa registrazione incredibilmente insieme Chiriacò, Marra, Giandonato e nel ruolo di Raimondo un certo Antonio Stefanizzi. Infine sempre dalla stessa scena, il recitativo T’allontana, sciagurato con la disperazione di Edgardo, ancora con Chiriacò al trombone tenore.

Pini di Roma invece furono scritti da Ottorino Respighi e adattati per Banda da Antonio D’Elia. Online sono presenti tutti i 4 movimenti. Segue l’Ouverture da Il Reggente di Saverio Mercadante nella trascrizione di Alfredo D’Ascoli oltre ad una gioiosa marcia finale dedicata alla città di Lecce dallo stesso D’Ascoli, Lecce in Festa. Online è possibile ascoltare anche la prima parte de La Scala di Seta di Gioacchino Rossini nella trascrizione di D’Ascoli e l’esecuzione di Modesto Martello all’oboe, Nino Farì al clarinetto e Vincenzo Bisanti al flauto.

La realizzazione di questo cd è stata possibile anche grazie a, in ordine alfabetico, Paolo Addesso, Antonio Anselmi, Vincenzo Anselmi, Enzo Bisanti, Enzo Blaco, Filippo Boscia, Giovanni Cassanelli, Barbara Chiriacò, Giambattista Ciliberti, Angelo Cotturone, Elisabetta D’Ascoli, Alfredo D’Ascoli, Cesare Dell’Anna, Michele Di Puppo, Rocco Fabia, Antonio Farì, Domenico “Mimmo” Fiore, Pierfrancesco Galati, Brunilde Giandonato e la sua famiglia, Fedora Giandonato e la sua famiglia, Pasquale Mariella, Romano Marra e la sua famiglia, Emanuele Maggiore, Giuseppe Pascali, Osvaldo Piccinno, Umberto Rizzo.

Livio Minafra

«Quella di Minafra ė una musica di scambio e contaminazione, ricca di echi orientali, di contenuti minimalistici, dai rimandi etnici, definirla jazzistica può starci ma per certi versi è definizione limitativa. Certo ė che l’improvvisazione, l’istantaneità ne rimangono le travi portanti» dice di lui il giornalista Amedeo Furfaro.